Il Marchese De’ Gianfilippi, BENEMERITO della Pianura Veronese

Fin dalla seconda metà del 1800 nella nostra pianura iniziò a verificarsi un fenomeno sociale locale molto curioso, ma anche molto utile.

Il territorio era gestito da grandi proprietari terrieri e la popolazione era prevalentemente contadina. Per avere più manodopera nei campi i “Padroni” pensarono che se si fosse trovato il modo di tenere al sicuro i bambini, il resto della famiglia (tutti e due i genitori e spesso anche i nonni in gamba) avrebbero potuto lavorare tutta la giornata.

In molti comuni cominciarono a costruire “ASILI” finanziati dai latifondisti e anche Bovolone ha avuto il suo, ma ha avuto il meglio del meglio. Infatti, da quanto si legge nella TESI DI LAUREA della maestra Monica Sassi, insegnante nella scuola dell’infanzia di Bovolone, la storia che racconta la nascita di questo “ASILO”, fu che si chiamò da subito SCUOLA MATERNA e il nome del Benemerito finanziatore fu il Marchese Alessandro Filippo de’ Gianfilippi, di famiglia veneziana. Egli comprò il terreno (dove oggi si trova la Banca Veronese), finanziò la costruzione della scuola e chiamò ad insegnare le SUORE DELLA MISERICORDIA che applicarono per la prima volta al mondo il “METODO APORTIANO” (quello ideato da Don Ferrante Aporti e che ancora oggi si applica nelle scuole aportiane delle diocesi di tutto il mondo.

L’Asilo di Via Roma in un acquerello di Francesco Rossi

Il Marchese Benemerito, oltre che all’istruzione, provvedeva al cibo e alla divisa, nonché ad accompagnare a casa col barroccino i bambini più lontani.

Una nostra socia ricorda che suo nonno, il quale aveva fondato un asilo in un altro comune, le raccontava che era nell’interesse del padrone che i bambini crescessero sani, perché da adulti sarebbero diventati forti braccianti. Ricorda una scena di quando era piccola: capitava che d’inverno nel cortile di casa, il nonno, d’improvviso si metteva a gridare con voce tonante: “Ida, la Mea la canta !!!“ e gettava il cappello per terra per rimarcare il disappunto; allora la nonna usciva di casa e correva per la contrada, con una “sessola” di farina di mais in una mano e un cucchiaio di strutto nell’altra. La bambina non capiva cosa stava accadendo, ma quando fu cresciuta, il nonno le spiegò che la Mea era una vedova di guerra e d’inverno, se non aveva niente da dare da mangiare ai figli piccoli, metteva una mattonella nelle braci del focolare e diceva loro che era il “fogazin” che si cuoceva… e intanto cantava le ninnenanne perché i bambini si addormentassero e non sentissero i morsi della fame.

Ai padroni conveniva che i bambini crescessero sani, diventando poi forti braccianti. Per questo il nonno gridava e la nonna correva!!! La società rurale, anche se suddivisa in classi sociali, era molto collaborativa e solidale.

Oggi i tempi sono decisamente cambiati.

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