Dante mise piede per la prima volta a Verona a metà del 1303 per una missione diplomatica. Infatti il sommo poeta era uno dei componenti del “governo bianco fiorentino in esilio”, il quale cercava alleati per riprendere il potere a Firenze. I Bianchi avevano già stipulato accordi con Bologna e le città romagnole, così Dante fu inviato a Verona per indurre il ghibellino Bartolomeo della Scala ad unirsi alla coalizione. Questi aveva sposato Costanza, una pronipote dell’imperatore Federico II, ed era l’unico della sua famiglia che poteva fregiarsi di uno stemma che esibiva un’aquila sul quarto piolo della scala.
Bartolomeo, però, non si lasciò convincere dalle lusinghe di Dante e continuò in Verona la sua fedele politica a fianco dell’imperatore. La missione dantesca poteva dunque considerarsi fallita, eppure il poeta si fermò nella nostra città una decina di mesi. Perché?
La risposta sta sicuramente nella presenza a Verona di una delle più straordinarie biblioteche europee dell’epoca: la Capitolare, allestita e gestita dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale fin dal V-VI sec, una biblioteca ricchissima di testi classici che ha favorito la scoperta di scrittori antichi ed opere sconosciute a Firenze e a Bologna.
Dante, perciò, si ferma a Verona per studiare; ne abbiamo prova attraverso gli scrittori latini che cita nel De vulgari eloquentia, pressoché sconosciuti altrove e presenti nella Capitolare veronese. Gli studi veronesi di Dante non sono stati certamente fini a se stessi, ma hanno offerto riflessioni ed argomentazioni per la scrittura del Convivio, che alcuni studiosi ritengono abbia iniziato a comporre proprio nella città scaligera.
Alla luce di quanto scritto sopra, risultano ingannevoli i versi del XVII Canto del Paradiso nella celeberrima profezia di Cacciaguida: “Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello/ sarà la cortesia del gran Lombardo/ (Bartolomeo della Scala, definito Lombardo perché all’epoca Verona era considerata terra lombarda, distinta dalla Marca Trevigiana). Il signore di Verona non fu per niente “cortese” con Dante in quell’occasione, almeno nell’accezione che si attribuiva allora a questo termine, anche se, sembra, vista la levatura del personaggio, gli abbia affidato incarichi diplomatici saltuari che gli hanno permesso in questi dieci mesi di mantenersi e di conoscere i luoghi e i dialetti veneti.
Sarà solo tredici anni più tardi, nel 1316, quando il poeta tornerà a Verona da ospite e rifugiato, che gli verrà riservata l’accoglienza a palazzo da Cangrande della Scala, fratello minore di Bartolomeo, al quale il Nostro dedicherà la terza cantica della Divina Commedia. Ormai il poeta aveva già sperimentato ampiamente “… come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ’l salir per l’altrui scale”.
Ulisse Scavazzini